Rita Levi Montalcini nacque a Torino il 22 aprile del 1909 da famiglia ebrea, padre ingegnere e madre pittrice. Nonostante il dissenso del padre, convinto che la carriera professionale avrebbe interferito con i doveri di una donna, prima di tutto vista come moglie e madre, decise di studiare medicina laureandosi nel 1936 con il massimo dei voti.
Il sistema nervoso aveva da sempre affascinato la Montalcini e fin dai primi anni universitari cominciò a frequentare assiduamente, come interna, l’istituto del famoso istologo Giuseppe Levi che al tempo svolgeva attività di ricerca sul processo di differenziazione del tessuto nervoso e sugli effetti dell’ablazione e dell’innesto di arti nello sviluppo dell’embrione di pollo. Levi divenne una figura fondamentale per la Montalcini e tra i due si stabilì una solida amicizia che si fortificò quando, in seguito all’emanazione delle leggi antisemite che privavano ogni cittadino “non ariano” di ogni diritto alla carriera universitaria e alla libera professione iniziarono a lavorare insieme, in un piccolo laboratorio privato di neuroembriologia sperimentale, allestito in casa.
Stando alle conoscenze di allora era noto che alla base del funzionamento del sistema nervoso ci fosse una precisa organizzazione dei neuroni e dei loro assoni e dendriti in reti neurali, ma ancora si sapeva poco o nulla su come nascesse e sviluppasse tale sistema.
Queste conoscenze erano maturate soprattutto con gli studi embriologici che, negli anni ’40, erano alla base della gran parte delle nuove scoperte scientifiche. Famoso embriologo dell’epoca era Viktor Hamburger, da anni lo studioso svolgeva attività di ricerca riguardo la maturazione e lo sviluppo del sistema nervoso utilizzando embrioni di pollo.

Hamburger fu il primo a sviluppare l’ipotesi che la maturazione dell’encefalo non procedesse in automatico, seguendo un progetto prestabilito e regolato dalle leggi della sola genetica, come si pensava fino ad allora, ma che richiedesse una stretta interazione tra encefalo e fibre nervose periferiche (e quindi ambiente); fu il primo a parlare di generici ‘segnali’, ancora per nulla definiti, provenienti dai tessuti periferici in grado di indirizzare la differenziazione dei neuroni, la crescita delle fibre nervose e l’innervazione degli organi.
La Levi Montalcini venne a conoscenza dei lavori di Hamburger e ne comprese le potenzialità. Si trasferì quindi da lui a St. Louis nel 1947 e, insieme, cominciarono a riesaminare gli esiti degli esperimenti che Hamburger aveva condotto a partire dal ’34.
L’esperimento prevedeva l’amputazione degli abbozzi di ala nell’embrione di pollo di tre giorni. Successivamente, dopo 17 giorni, l’embrione veniva sacrificato per studiare al microscopio lo sviluppo del midollo spinale. Il preparato al microscopio dimostrava l’assenza dei neuroni motori preposti all’innervazione delle ali. Secondo Hamburger tutto questo dimostrava come i neuroni non fossero in grado di svilupparsi in assenza dell’abbozzo delle ali, la Levi Montalcini invece era dell’idea che i neuroni si erano divisi e avevano anche iniziato il processo di crescita e migrazione delle fibre nervose verso la periferia, ma erano poi andati incontro a morte perché privati dei necessari stimoli provenienti dalla periferia stessa( ovvero dagli abbozzi delle ali) territorio embriologico in via di sviluppo ma asportato sperimentalmente dagli studiosi. Tutto ciò indicava fortemente che la regione amputata regolasse in qualche modo ancora sconosciuto la proliferazione e lo sviluppo cellulare del tessuto nervoso destinato ad innervarla, ma ancora non si capiva quale fosse la sostanza in questione.

Provvidenziale fu a questo punto l’incontro nel 1948 con Elmer Bueker un dottorando di Hamburger: Bueker stava facendo degli esperimenti sull’effetto del trapianto di cellule tumorali di topo (sarcoma 180) in embrioni di pollo al 3° giorno di sviluppo, con lo scopo di evidenziare eventuali risposte patogene indotte dalla presenza di cellule neoplastiche in tessuti sani.
I risultati degli esprimenti evidenziavano che le fibre nervose dell’embrione in cui erano state istillate le cellule tumorali, andavano incontro ad una notevole proliferazione fino a raggiungere e a penetrare le cellule del tumore stesso; c’era quindi qualcosa nel sarcoma di topo che interagiva con lo sviluppo delle fibre nervose del pollo e Bueker ipotizzò che quel ‘qualcosa’ fosse una ben precisa sostanza deputata alla stimolanzione della crescita delle cellule nervose.
Venuta a conoscenza di questi risultati, la Montalcini fu entusiasta, capì che, probabilmente in maniera del tutto fortuita, in quelle cellule di sarcoma c’era lo stesso fattore di cui si stava occupando da anni e che impediva la corretta maturazione dell’embrione di pollo, oggetto dei suoi studi, quando carente.
Decise quindi immediatamente di riprodurre gli studi di Bueker, ma si orientò verso esperimenti più rapidi e riproducibili, passando dalle ricerche sull’embrione a quelle in vitro.

L’uso dell’incubazione dei tessuti in vitro confermò i risultati delle ricerche condotte sull’embrione : i tessuti coltivati in prossimità di cellule di sarcoma 180 andavano incontro ad un’intensa proliferazione di fibre nervose che si estendevano a raggiera fino a raggiungere le cellule tumorali. Putroppo però ancora non si riusciva ad isolare ed identificare questo fattore di crescita nonostante gli sforzi della scienziata e del suo compagno di ricerca.

In questo senso , l’incontro nel 1953 con Stanley Cohen, un giovane biochimico, fu provvidenziale per risolvere l’ultimo tassello del problema ovvero l’estrazione del ‘prodotto’ delle cellule di sarcoma : nel 1954 Cohen riuscì finalmente ad isolare dalla coltura delle cellule tumorali una nucleo-proteina che si dimostrava essere in grado di stimolare la crescita neuronale quando messa in contatto con le cellule nervose in vitro. Pensando che il fattore neurotrofico fosse legato alla sola porzione acido nucleica della nucleoproteina, Cohen trattò le cellule tumorali con veleno di serpente, ricco dell’enzima fosfodiesterasi (che digerisce gli acidi nucleici) e ciò avrebbe quindi annullato qualsiasi effetto sulle cellule nervose in coltura. La Levi Montalcini provò il veleno di serpente su una frazione di tessuto nervoso attendendosi una mancata proliferazione di fibre e, invece, il risultato fu del tutto inatteso: la potenza di questa nuova molecola isolata era tale che un solo milionesimo di grammo per ml induceva in pochi minuti un’incredibile crescita delle cellule nervose in coltura addirittura maggiore rispetto a quella ottenuta incubandole con cellule di sarcoma; era stato definitivamente identificato il Nerve Growth Factor o NFG, molecola proteica, dimerica con peso molecolare di 44000, costituita da due unità di 118 aminoacidi ciascuna, unite tra loro da legami chimici covalenti.

Immediatamente cominciò un’analisi sistematica, in vivo e in vitro, della proteina per studiarne lo spettro e i meccanismi d’azione.
Nel 1959 il gruppo di scienziati capeggiato dalla Montalcini condusse un esperimento con un antisiero specifico contro l’NGF iniettandolo in cavie ai primi giorni di vita e si evidenziò che l’inattivazione dell’NGF endogeno determinava atrofia e mancato sviluppo dei gangli simpatici: era la dimostrazione definitiva che l’NGF è un fattore fondamentale nel normale sviluppo del sistema nervoso. Per questo Rita Levi Montalcini insieme a Stanley Cohen ricevette nel 1986 il premio Nobel per la medicina. Nella motivazione del Premio si legge: «La scoperta dell’NGF all’inizio degli anni cinquanta è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell’organismo»
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L’attività di ricerca su questa molecola non si fermò, cosi come l’attività della scienziata, che fu insignita di molti altri riconoscimenti e divenne una figura di riferimento nella ricerca internazionale. Proseguì i suoi studi sullo spettro di azione del NGF, utilizzando tecniche sempre più sofisticate.
Scoprì cosi che l’NFG ha un’attività ben più ampia di quanto si pensasse: non si limita infatti ai neuroni periferici, ma si estende anche alle cellule del sistema nervoso centrale, del sistema immunitario ematopoietico e alle cellule coinvolte nelle funzioni neuroendocrine.
Esperimenti ulteriori hanno dimostrato che l’NFG è anche in grado di prevenire il danneggiamento delle cellule nervose adulte (è impiegato con successo per riparare i danni della cornea) e sono in corso studi sul possibile uso terapeutico dell’NGF in patologie come il morbo di Alzheimer e di Parkinson, sclerosi multipla e schizofrenia.
C’è da aggiungere che all’identificazione del NGF seguì presto quella di un altro fattore denominato EGF (fattore di crescita dell’epidermide) da parte dello stesso Cohen: i due scienziati avevano di fatto dato il via alla scoperta dei fattori di crescita, un’intera nuova classe di polipeptidi che regolano processi estremamente complessi come sviluppo dell’organismo, proliferazione tumorale e patologie immunitarie.
Da tutto questo si comprende come il futuro dell’attività di ricerca su queste molecole aperta dal Nobel italiano sia quanto mai pieno di attese e come non si spegnerà di certo con lei,che diceva «Quando muore il corpo sopravvive quello che hai fatto , il messaggio che hai dato» ed il suo messaggio può essere forse riassunto in un’altra sua frase che dovrebbe essere da sprone a tutti noi:
«Dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente. Non temete le difficoltà: io ne ho passate molte, e le ho attraversate senza paura ».