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PREMESSA: LA RESPONSABILITA’ DEL MEDICO SPECIALIZZANDO
In relazione al particolare tipo di attività svolta dal medico specializzando, ci si scontra sovente con il problema della individuazione dei reali limiti e dei confini della sua responsabilità, soprattutto penale.
Da una parte, infatti, ci si trova di fronte ad una legislazione che, in prima battuta, tratteggerebbe la figura del medico in formazione come un “discente” che effettua un periodo di apprendimento e pratica clinica con un ruolo nel sistema (per così dire) secondario.
Dall’altra parte, l’impatto con la realtà è completamente differente: lo specializzando assume una funzione di vera e propria supplenza operativa quando l’organizzazione non è in grado di coprire – temporalmente o funzionalmente – le esigenze che la struttura comporta.
Secondo la Cassazione (sent. cit.) lo specializzando gode di una “AUTONOMIA VINCOLATA”: si tratta di un’autonomia (e quindi responsabilità) che non può essere disconosciuta trattandosi di persone – i medici specializzandi – che hanno conseguito la laurea in medicina e chirurgia e, pur tuttavia, essendo in corso la formazione specialistica (soprattutto per quei settori che non formano bagaglio culturale comune del medico non specializzato), l’attività non può che essere caratterizzata da limitati margini di autonomia in un’attività svolta sotto le direttive del tutore.
In altri termini, lo specializzando, nel momento in cui entra in contatto con il paziente assume nei suoi confronti le responsabilità tipiche che si ricollegano all’esercizio della professione sanitaria e il rapporto che si va ad instaurare è retto dalle regole tipiche dei contratti.
Riassumendo
- Il contratto di formazione del medico specializzando non esclude ma anzi presuppone una sua fattiva partecipazione (guidata) alle attività sanitarie.
- Il medico specializzando, nei limiti dell’autonomia a lui riconosciuta, agisce come operatore sanitario entrando in contatto con i pazienti, verso i quali risponde in sede civile secondo le regole del contratto e in sede penale secondo le leggi penali.
Ma, in ambo i casi, su che coefficiente soggettivo si fonda la responsabilità del medico specializzando?
QUADRO NORMATIVO
Partendo dal d. lgs. 257/1991, appare opportuno analizzare attentamente quanto disposto dall’articolo 4, primo comma: “la formazione del medico specialista a tempo pieno implica la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio di cui fanno parte le strutture nelle quali essa si effettua, ivi comprese le guardie e l’attività operatoria per le discipline chirurgiche, nonchè la graduale assunzione dei compiti assistenziali in modo che lo specializzando dedichi alla formazione teorica e pratica tutta la sua attività professionale per l’intero anno”.
Come si evidenzia, la norma in esame esalta la funzione di “discente” assunta dal medico specializzando.
A tale disciplina si aggiunge il d.lgs. 502 del 1992 (cosiddetta riforma del Servizio Sanitario Nazionale) il cui articolo 16, proprio in tema di formazione medica, sottolinea come la formazione medica comporti “la graduale assunzione di compiti assistenziali e l’esecuzione di interventi con autonomia vincolata alle direttive ricevute dal medico responsabile della formazione”. La stessa norma stabilisce, inoltre, che la “formazione comporta l’assunzione delle responsabilità connesse all’attività svolta”.
Focus on: medici in formazione specialistica ed orari di lavoro
Come è ormai noto, il 25 novembre 2015 è entrata in vigore la legge 161/2014 riguardante la normativa europea in materia di orario di lavoro e riposi per i professionisti sanitari (D.lgs. 66/2003 – 2003/88/CE). Essa vale anche per i medici in formazione come esplicitato dal Ministero della Salute in data 11-03-16.
http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=7417520.pdf
PRECEDENTI GIUDIZIARI
I precedenti di legittimità della Cassazione penale, che hanno esaminato il tema in oggetto, sono tutti orientati nella condivisione del principio normativo di “autonomia vincolata” come in precedenza delineato.
Sentenze
- Sentenza 6 ottobre 1999 n. 2453, Tretti, rv. 215538: ha ritenuto la responsabilità dello specializzando per aver proseguito un intervento operatorio iniziato dal capo equipe (che aveva lasciato la sala operatoria incaricando lo specializzando di concludere l’intervento che aveva avuto esito mortale)
- Sentenza 20 gennaio 2004 n. 32901, Marandola, rv. 229069: in questo caso lo specializzando anestesista aveva effettuato con modalità inidonee l’iniezione epidurale ad una partoriente cagionando un calo pressorio non adeguatamente contrastato tanto da provocare danni irreversibili al feto
- Sentenza 2 aprile 2007 n. 21594, Scipioni, rv. 236726: relativa ad un caso di anticipato abbandono della sala operatoria da parte del chirurgo prima che venisse suturata la ferita chirurgica
- Sentenza 10 luglio 2008 n. 32424, Sforzini, rv. 241963: relativa ad un caso di trasmissione di istruzioni ad un’infermiera con modalità inidonee cui era derivata un’erronea modalità di assunzione di un farmaco
- Sentenza del 24/11/99, sez. IV Cass. Penale: trattasi della vicenda di un medico specializzando in chirurgia che ha effettuato un intervento di settoplastica nasale in équipe con il proprio primario e l’anestesista. L’operazione veniva incominciata dal primario, che poi ne affidava il proseguimento allo specializzando: nel frattempo interveniva un importante sanguinamento che induceva il tutor a proseguire personalmente l’intervento. Successive complicanze portavano tuttavia al trasferimento della paziente presso altra clinica, ove interveniva la morte nel volgere di breve tempo. Le successive indagini ricostruivano l’episodio appurando che la tecnica che era stata utilizzata per lo specifico intervento in questione non era la più usuale rispetto ad altre tecniche più consolidate. Tuttavia, proprio per la peculiarità della scelta, la tecnica doveva essere materialmente svolta da persona esperta e particolarmente sensibile in quanto a manualità. Veniva anche accertato che l’allievo, essendo dubbioso sulle modalità dell’intervento scelte dal primario, aveva approfondito personalmente lo studio, senza rinvenire alcun riferimento in letteratura.
La Corte Suprema, dunque, dato atto di tale ulteriore presa di coscienza sulle modalità e difficoltà del tipo di intervento scelto, e considerata la piena assunzione della posizione di garanzia nel momento in cui il giovane medico ha accettato di procedere con le manovre chirurgiche, ritiene pienamente sussistente il profilo della colpa in quanto “caratterizzata dalla negligenza ed imperizia per non avere innanzitutto valutato le possibili conseguenze del suo atto … e per non avere ridotto al minimo detto rischio … eventualmente declinando l’incarico”.
L’opinione comune tende a far ricadere direttamente sullo specializzando la responsabilità per l’evento avverso: l’azione o l’omissione anche dello specializzando, sia essa frutto di decisione autonoma sia essa frutto di un incarico ricevuto, sono oggetto di giudizio di per sé e chi ne risponde è esclusivamente l’autore.
Proprio sulla base di tale orientamento è intervenuta la circolare del 25 maggio 2001 della FNOMCEO in cui viene specifico ulteriormente che “lo specializzando … non deve prestare passiva acquiescenza alla direttiva del docente qualora non sia in grado, per scarsa esperienza, di assolvere con competenza alla direttiva medesima”.
RIFERIMENTI
- http://www.ordinemedicilatina.it/wp-content/uploads/2014/09/Buffone_la_responsabilita_professionale_del_medico_varese_27_11_2010.pdf
- http://www.assomedici.it/medicospecializzando.html
Per approfondire “Specializzazione in medicina e libera professione” si rimanda a: link