Febbre: clinica e terapia nell’età pediatrica

A cura di: Simone Franchini

 

Definizione: La febbre viene definita come un aumento della temperatura corporea mediato dall’aumento del set-point del termostato ipotalamico, per la presenza in circolo di citochine. Esse possono essere rilasciate in corso di processi infiammatori, infettivi, sia virali che batterici, ma anche in corso di malattia neoplastica.

Diagnosi differenziale:

La febbre va distinta dall’ipertermia, che è indipendente da meccanismi centrali ipotalamici: essa deriva o da una prolungata esposizione ad alte temperature (colpo di calore) o da ridotta dispersione di calore (ad esempio nell’intossicazione da atropina, che comporta un deficit di sudorazione con accumulo di calore corporeo) o ancora da aumentata produzione di calore(esercizio fisico strenuo, iper-tiroidismo o ipertermia maligna). La diagnosi differenziale non si basa sull’esclusiva misurazione della temperatura con il termometro, perché sia nella febbre che nell’ipertermia maligna la temperatura corporea registrata è comunque superiore alla norma, ma è l’anamnesi ed un corretto esame obiettivo che consentono di escludere uno dei due quadri. Ad esempio, nell’ipertermia il semplice raffreddamento del paziente con acqua fresca o mettendolo in ambiente fresco e ventilato, con pochi vestiti addosso e reidratandolo aiuta ad abbassare la temperatura registrata nel soggetto ipertermico; una serie di azioni queste che non hanno alcun effetto sul paziente febbrile, anzi potrebbero portare ad un ulteriore aumento termico. Allo stesso modo la somministrazione di anti-piretici ha azione terapeutica sul paziente con febbre mentre non darà alcun risultato vantaggioso nel soggetto iper-termico.

Classificazione della temperatura febbrile:

 

  • CONTINUA [A-B]: variazione della temperatura corporea < 0.3°C; è una delle forme più rare da vedere di febbre, perché al primo cenno di febbre spesso si somministra l’anti-piretico, perciò è di difficile riscontro; per risalire alla natura della febbre e definirla continua, spesso si tiene in osservazione il bambino in ospedale per alcune ore senza somministrargli alcun tipo di farmaco anti-febbrile; tra le cause di febbre continua c’è lo stato settico, la polmonite e le virosi;
  • REMITTENTE [C]: variazione della temperatura >1°C, con raggiungimento di valori termici elevati seguiti poi da una diminuzione anche significativa, ma sempre al di sopra dei valori normali di temperatura corporea; un esempio è l’artrite reumatoide, con due oscillazioni termiche al giorno, oppure la poliarterite nodosa, la settico-piemia;
  • INTERMITTENTE [D]: remissioni quotidiane della febbre a valori normali; un esempio è dato dalle collagenopatie autoimmuni che si associano a rilascio di citochine pro-infiammatorie che determinano il picco termico giornaliero, seguito poi da una defervescenza totale; altri casi possono essere la malaria, le sepsi di origine addomino-pelvica, le osteomieliti (da tener presente anche nei giovani morfinomani, per ascessi da iniezione e.v. o da sospensione dell’assunzione della droga!);
  • IPERPIRESSIA: aumento della temperatura corporea al di sopra di 41°C; è tipica degli stati settici; comunemente, in modo poco corretto, si definisce iperpiressia anche la temperatura superiore a 38°C, più per distinguerla dalla febbricola; in realtà non è scorretto definirla iperpiressia, purché sia presente una persistenza di questi valori di temperatura;
  • FEBBRICOLA: tra 37.5°C e 38°C; si può osservare nell’iper-tiroidismo, nella fase pre-mestruale, nel periodo post-infettivo di guarigione dal processo morboso o anche nella fase iniziale dello stesso, prima del raggiungimento del picco di temperatura corporea;
  • ONDULANTE [E]: nell’arco delle settimane sono intercalati periodi di apiressia con altri in cui la temperatura, per 10-15 giorni, mostra graduali ascese e discese; esempi sono la brucellosi, il linfoma di Hodgkin e l’endocardite;
  • RICORRENTE e/o PERIODICA[F]: alternanza di periodi di febbre elevata con giorni di temperatura corporea normale; è tipico delle febbri periodiche (cfr. dopo);
  • ABITUALE: febbre intermittente o remittente con oscillazioni >1.4°C.

 

Cause di febbre:

  1. Infezioni respiratorie: sia delle alte vie aeree (faringiti; otite media: va sempre considerata nel bambino piccolo che non può parlare e dirci di avere otalgia, anche perché è una causa molto comune di infezione, essendo l’orecchio medio dei bambini predisposto anatomicamente alla contaminazione microbica, per via di una maggiore linearità del condotto uditivo esterno e della maggiore facilità di risalita delle infezioni nasali e faringee attraverso le trombe di Eustachio; tonsilliti; riniti e sinusiti; influenza e infezione para-influenzale; laringo-tracheo-bronchiti; bronchioliti; polmoniti).
  2. Infezioni delle vie urinarie: sono infezioni che vanno sempre considerate ed escluse prima di iniziare un trattamento per infezioni in altra sede, in quanto spesso non danno sintomi di sé, specie nel neonato e nel bambino più piccolo, ragion per cui è indispensabile eseguire sempre una urino-coltura nel paziente con febbre alta e senza altri sintomi. Anche perché trascurare le infezioni urinarie, specie se ricorrenti, può comportare poi lo sviluppo di una condizione di insufficienza renale.
  3. Malattie esantematiche: oggi per via delle vaccinazioni è sempre più difficile riscontrare una di queste malattie esantematiche. Ilmorbillo  è un’affezione virale, con un suo periodo prodromico con sintomi delle alte vie respiratorie, rinite, congiuntivite e febbre. Poi alla scomparsa della febbre compare l’esantema cutaneo cranio-caudale, maculo-papuloso e confluente che arriva sino ai piedi. L’esantema scompare nella stessa direzione in cui compare. Altra infezione esantematica tipica dell’infanzia è la sesta malattia [foto B], con febbre elevata per tre giorni, che scompare per lisi, con eruzione poi maculo-papulosa sfumata, concentrata prevalentemente sul tronco. Tale patologia è frequentemente associata a crisi comiziali febbrili. Poi c’è la scarlattina [foto C], da Streptococco beta-emolitico di gruppo A, caratterizzata da faringo-tonsillite e linfadenopatia cervicale importanti, febbre molto alta, anche ad esordio improvviso, con eritema maculo-papuloso diffuso, spesso accentuato alle pieghe cutanee (inguine, ascelle), che al tatto assume una consistenza ruvida, come quello della carta vetrata, e all’osservazione appare lucido, come cute ustionata con la pelle d’oca. Tipica è anche la depigmentazione peri-orale. Appoggiando la mano a piatto, aperta, sulla cute del bambino, rimane l’impronta della mano stessa di colorito giallastro sullo sfondo arrossato dell’eczema (segno della mano gialla). Infine da considerare la rosolia e la varicella, anche queste sempre meno frequenti grazie alle vaccinazioni.
  4. Infezioni gastro-enteriche.
  5. Infezioni del sistema nervoso centrale: va esclusa la meningite, l’encefalite, l’ascesso cerebrale.
  6. Infezioni epatiche e delle vie biliari (epatite A e B e colecistite acuta in bambini obesi).
  7. Infezioni del cuore: ad esempio endocardite, miocardite, pericardite e malattia reumatica post-streptococcica (da sospettare sempre nei bambini affetti da infezioni respiratorie alte da Streptococco beta-emolitico di gruppo A, con la valutazione dei relativi criteri diagnostici maggiori [cardite, artrite, noduli cutanei, eritema marginato e corea] e minori [alterazioni dell’ECG, artralgia, aumento degli indici di flogosi e l’eventuale documentazione dello Streptococco]).
  8. Infezioni sistemiche: mononucleosi (EBV) e infezione da CMV; spesso davanti ad una mononucleosi, per via della sintomatologia delle alte vie respiratorie, ci si comporta come se si trattasse di un’infezione batterica e si somministra erroneamente l’antibiotico; la sintomatologia ovviamente non regredisce, anzi compare una linfadenopatia evidente con rash cutaneo.
  9. Infezioni localizzate;
  10. Vasculiti e malattie autoimmuni: la malattia di Kawasaki è una delle vasculiti più comuni in età pediatrica; è caratterizzata daiperpiressia da almeno 5 giorni, congiuntivite, linfadenopatia, enantema delle fauci ed edema duro delle mani. E’ l’unica causa di coronaropatia acquisita nel paziente pediatrico. Esiste anche la variante atipica che non rispetta necessariamente tutti i criteri diagnostici della Kawasaki.
  11. Malattie ematologiche: ad esempio la leucemia può esordire con febbre per riduzione delle difese immunitarie.
  12. Miscellanea: febbri periodiche, malattie infiammatorie croniche intestinali

 

Valutazione della temperatura corporea:

La temperatura si può controllare sia a livello ascellare, sia rettale che orale. La normale temperatura ascellare è pari a 36,5°C ± 0,5°C, e si misura tenendo il termometro ben stretto tra ascella e tronco per 3 minuti. La temperatura rettale è di solito pari a 37,6°C ± 0,3°C, e si ottiene inserendo la punta del termometro per 5-7cm nel retto a seconda dell’età per 4 minuti. Dopo la misurazione della temperatura rettale, per rapportarla a quella ascellare si sottraggono 0,5°C. La temperatura orale normale è pari a 37°C ± 0,3°C, e si ricava tenendo la punta del termometro sotto la lingua e a labbra chiuse per 4 minuti.

E’ buona regola misurare la temperatura corporea in stato di riposo e a distanza di almeno 1h dal pasto.

Patogenesi:

Infezioni, tossine e altri induttori pirogeni esogeni e/o endogeni di citochine portano all’attivazione di monocito-macrofagi, cellule endoteliali, linfociti B, cellule mesangiali, cheratinociti, cellule epiteliali mucose e cellule gliali, che secernono le citochine pirogene suddette (IL-1/6, TNF alfa, IFN gamma). Esse arrivano per via ematica e paracrina la centro termoregolatore ipotalamico, dove inducono il rilascio di prostaglandina E2 (PGE2), mediatore a sua volta dell’aumento del set point ipotalamico per la febbre. A questo punto vengono inviati in periferia dei segnali nervosi atti a mettere in moto tutti i sistemi di conservazione e ridotta dispersione termica dal corpo (vasocostrizione, tendenza a coprirsi di più), oltre a quelli di termogenesi muscolare con il brivido. La temperatura corporea salirà fino al raggiungimento del valore di set point ipotalamico determinato, con comparsa della febbre. In alcuni casi l’elevata temperatura corporea data dallo stato febbrile si accompagna a convulsioni febbrili. Esse non sono sempre costantemente presenti, ma costituiscono un semplice sistema d’allarme dell’organismo.

Alle volte l’aumento della temperatura corporea non è provocato direttamente da uno stato febbrile, bensì da una patologia ipotalamica che altera i sistemi di termoregolazione fisiologici (craniofaringioma, trauma, emorragia, lesione infiltrante, danno da radiazioni…) e che può eventualmente associarsi ad altre disfunzioni endocrine ipotalamiche (ad esempio un diabete insipido centrale, alterazioni del senso di fame e sazietà, alterazioni della sete). In questi casi la prognosi è infausta.

La terapia anti-piretica viene spesso somministrata in maniera indiscriminata, ma in realtàsarebbe preferibile attendere nella somministrazione dei farmaci, per un corretto inquadramento delle cause di malattia. E’ preferibile infatti somministrare gli anti-piretici quando la temperatura aumenta oltre i 38-38,5°C.

Azioni dell’IL-1:

Tra tutte le citochine pirogene prodotte in corso di flogosi e infezione, sicuramente l’IL-1 è una delle principali. La sua capacità di provocare la febbre l’è valso anche il nome di “pirogeno endogeno”. Oltre alla febbre l’IL-1 scatena un’insieme di effetti che fanno da corollario allo stato febbrile, tra cui:

–          aumento delle proteine di fase acuta: VES e PCR (la PCR è più veloce ad aumentare rispetto alla VES), pro-calcitonina (anch’essa molto veloce), aptoglobina, alfa-1-antitripsina, fattori del complemento, ceruloplasmina, fibrinogeno, proteina amiloide A, globuline e glicoproteine.PCR e pro-calcitonina, per via della loro notevole velocità di cambiamento nel valore laboratoristico in base alla fase del processo patologico, possono essere utilizzati come markers della risposta alla terapia anti-piretica adottata, per capire quindi se tale terapia funziona oppure no.

–          aumento dei neutrofili;

–          aumento dei fibroblasti;

–          attivazione piastrinica;

–          aumento della proteolisi e glicogenolisi muscolare;

–          mobilitazione dei lipidi;

–          gluconeogenesi;

–          aumento del sonno;

–          aumento della sintesi ormonale in risposta allo stress rappresentato dallo stato febbrile;

–          riduzione dell’appetito;

–          riduzione dello Zn2+.

Terapia anti-piretica nel bambino:

Il trattamento febbrile è prevalentemente sintomatico. Il razionale del trattamento della febbre risiede nella possibilità di confinare gli svantaggi che uno stato febbrile comporta, tra cui: alterazione della cenestesi; aumentato consumo di ossigeno, con rischio di esacerbare un’insufficienza cardiaca o respiratoria; scompenso del diabete mellito o di una malattia metabolica; convulsioni febbrili.

La febbre  ha però anche degli effetti positivi su chi ne è affetto, tra cui: aumento della motilità leucocitaria; aumento della sintesi di linfociti T; ostacolo all’utilizzazione del ferro da parte dei batteri.

La febbre è bene iniziare a trattarla quando la temperatura sale al di sopra di 38-38,5°C e prima ancora del trattamento farmacologico, è bene utilizzare mezzi fisici semplici, come lespugnature con acqua tiepida a 29-32°C, impacchi, borse di ghiaccio, clisteri, condizionamento ambientale e tenda diatermica. E’ vietato l’utilizzo dell’alcool, perché nel bambino piccolo inibisce la glicogenolisi e se il paziente è diabetico può andare incontro a crisi ipoglicemiche ben più gravi di quelle che ci si potrebbe aspettare. [Questo vale anche per l’assunzione alimentare dell’alcool: un soggetto giovane diabetico, che consumi alcool, deve sempre accompagnare del cibo alla sua assunzione, altrimenti l’alcool, dopo un iniziale incremento della glicemia, stoppa il processo di glicogenolisi e può indurre una severa crisi ipoglicemica.]

Tra i farmaci ad azione anti-piretica, quelli oggi comunemente accettati sono il paracetamolo (Efferalgan, Tachipirina) e l’ibuprofene (Brufen, Moment). Il dosaggio del paracetamolo è di15mg/kg/die per os ogni 4h, fino a 6 volte al giorno; l’alternativa è la somministrazione rettale con supposta alla dose di 20mg/kg/die. Non si deve eccedere tali dosi perché il paracetamolo è una molecola altrimenti tossica, specie per il fegato (necrosi epatica dose-dipendente) e il rene (nefrotossicità dose-dipendente); dà anche discrasie ematiche (piastrinopenia!), esantemi o lesioni mucose, forse sindrome di Reye. Infine il paracetamolo può dare anche intossicazione, che viene valutata attraverso il ricorso al nomogramma di Rumack-Matthew.

La via rettale ha il limite della difficoltà di regolazione del dosaggio di paracetamolo da dare al bambino: mentre con le sospensioni orali o lo sciroppo per os si può gestire bene la dose somministrata in base alle esigenze del bambino, con le supposte è più difficile ottenere questo risultato: esse infatti hanno una dose di paracetamolo prefissata, per cui è necessario dividere la supposta. Tale divisione deve essere fatta longitudinalmente e non trasversalmente perché il paracetamolo è dietro il glicerolo, alla punta della supposta, perciò una divisione trasversale porterebbe ad ottenere un frammento privo del principio attivo.Controindicazioni all’uso del paracetamolo sono l’insufficienza epatica e renale.

Altro farmaco utilizzato abbiamo detto essere l’ibuprofene, alla dose di 10mg/kg/die per la funzione di anti-piretico. Esso ha anche azione anti-infiammatoria (cfr. dopo). La sua capacità di ridurre la febbre è anche più eclatante di quella del paracetamolo: il paracetamolo ci mette circa 45 minuti a far abbassare la temperatura, mentre l’ibuprofene è più veloce e fa raggiungere valori di temperatura anche più bassi dopo la sua somministrazione.

Si può alternare paracetamolo e ibuprofene? In linea teorica sì, perché non è dimostrato alcun aumento degli effetti collaterali, perciò si può anche provare a somministrare prima l’uno e poi l’altro e, nel caso si riscontri un’azione migliore da parte dell’ibuprofene, si può decidere di ri-somministrarlo a distanza di 4-6h dalla precedente dose.

Altro principio attivo è l’acido acetilsalicilico (Aspirina, Ascriptin…), ma viene somministrato esclusivamente dopo i 12 anni d’età, perché potrebbe provocare la sindrome di Reye (il cui rischio di insorgenza aumenta ancor di più in presenza di iperpiressia, varicella e acido acetilsalicilico assunto). Il suo dosaggio come antipiretico è di 10-20mg/kg/die in 4 dosi. Si può anche utilizzare comeanalgesico alla dose di 50-60mg/kg/die, in 5-6 somministrazioni. E’ più usato però come anti-infiammatorio, a dosaggio elevato (80-120mg/kg/die in 4 somministrazioni): le indicazioni sono per le malattie autoimmuni e auto-infiammatorie, come l’artrite reumatoide ad esordio sistemico o la malattia di Kawasaki (insieme alle immunoglobuline). Nella Kawasaki peraltro vi è una fase di malattia caratterizzata dall’aumento dell’aggregazione piastrinica, per cui è necessario somministrare l’Aspirina adosaggio anti-aggregante (3-5mg/kg/die). Altro caso di utilizzo dell’Aspirina al dosaggio anti-aggregante è quello delle piastrinosi post-infettive (>1 milione di piastrine).

Quindi, riassumendo, le azioni dell’acido acetilsalicilico (ASA) sono: anti-piretico (poco usato), anti-infiammatorio non steroideo, analgesico, anti-aggregante piastrinico.

Gli effetti collaterali dell’ASA sono: dolore epigastrico, nausea, vomito, pirosi, emorragie cutanee, piccole ulcerazioni gastriche o ulcera gastrica; salicilismo (è uno stato di tossicità intermedio, si verifica infatti per dosi superiori a quelle comunemente usate in terapia [a cui sono associati i primi effetti collaterali, come l’ulcera gastrica e l’asma da aspirina nei pazienti predisposti], ma per dosi nettamente inferiori a quelle che portano agli eventi più gravi [epatotossicità, insufficienza renale, tossicità pancreatica]. I sintomi del salicilismo sononausea, vomito,vertigini, tinnito); cefalea; vertigini e tinniti; piastrinopenia e anemia ferropriva; esantemi, orticaria, porpora e necrolisi; nefrotossicità; epatotossicità dose-dipendente; tossicità pancreatica; sindrome di Reye (cfr. sopra); alterazioni del metabolismo acido-base; iperventilazione e asma da ASA.

L’ASA è quindi un farmaco con molte limitazioni econtroindicazioni: insufficienza epatica, anemia, piastrinopenia, deficit della coagulazione, leucopenia, insufficienza renale, asma e infezioni virali.

Da evitare i farmaci appartenenti alla classe dei Pirazolonici, perché gravati da severi effetti collaterali.

Terapia anti-infiammatoria nel bambino:

Tra i farmaci adoperati per la terapia anti-infiammatoria in età pediatrica abbiamo i salicilati, che comprendono:

–          acido acetilsalicilico (Aspirina, Ascriptin, Bufferin, Flectadol): dose di 80-120mg/kg/die per 3-4 volte al giorno; da tenere sotto controllo però, dato l’alto dosaggio, la salicilemia: essa corrisponde a valori terapeutici se compresa tra 15 e 25mg/dl, mentre è tossica se >30mg/dl (salicilismo).

–          diflunisal (Dolbid): alla dose di 10-20mg/kg/die per 2 volte al giorno;

–          tolmetin (Tolectin): alla dose di 20-30mg/kg/die per 3-4 volte al giorno;

–          indometacina (Indocin e Metacen): derivato indolico, viene somministrato alla dose di 1-2,5mg/kg/die per 3-4 volte al giorno; è poco usato per via della sua elevata tossicità, anche se è più rapido;

–          ibuprofene (Brufen): può essere usato nelle forme infiammatorie acute e transitorie, come la coxalgia transitoria benigna, alla dose di 30-40mg/kg/die per 3-4 volte al giorno; non darlo mai sotto i 7 anni;

–          naprossene (Naprosyn): può essere somministrato ad esempio nell’artrite reumatoide oligoarticolare, alla dose abituale di 10-20mg/kg/die per 2 volte al dì. Non darlo mai sotto i 5 anni;

–          non trovano indicazioni invece farmaci d’uso comune nell’adulto, come il diclofenac (Voltaren) o il piroxicam (Feldene), o ancora la nimesulide (Aulin, Mesulid) e la noramidopirina (Novalgina);

–          non ha effetto anti-infiammatorio, ma solo anti-piretico, il paracetamolo!

Tutti i farmaci precedentemente elencati sono FANS (anti-infiammatori non steroidei), che agiscono attraverso l’inibizione di enzimi quali le ciclo-ossigenasi, adibite alla funzione di sintesi delle prostaglandine e del trombossano.  Si utilizzano principalmente per le artriti croniche giovanili.Ibuprofene, tolmetin e naprossene si sono dimostrati efficaci quanto l’aspirina ma meno tossici e ad oggil’FDA ha raccomandato l’uso pediatrico solo per ASA, naprossene e tolmetin. L’indometacinaattualmente è validata solo per la chiusura del dotto arterioso di Botallo.

Altra categoria di anti-infiammatori utilizzabili in età pediatrica è quella dei cortisonici. I due cortisonici ad azione anti-infiammatoria maggiore sono il desametazone e il betametasone; il primo è utilizzato soprattutto nelle artriti e nelle glomerulonefriti, mentre il secondo è più usato nelle patologie respiratorie. La loro potenza anti-infiammatoria è 20-30 volte maggiore rispetto a quella del cortisone puro. Non hanno effetto sodio-ritentivo, perciò non creano problemi di ipertensione. Altro cortisonico molto utilizzato, specie nell’attacco asmatico grave, sempre per os (come il prednisolone), è il prednisone, alla dose di 1-2mg/kg/die (alta) o <0,5mg/kg/die (bassa). Esso viene somministrato ogni giorno o a giorni alterni. Si inizia di solito con una dose d’attacco alta; poi, non appena si raggiunge il risultato desiderato, si scala del 10% al giorno e poi appena possibile si dà a giorni alterni. Il cortisonico per via e.v. più utilizzato è il metil-prednisolone, alla dose di 20-30mg/kg/die in 1h per 3 giorni. Il suo effetto dura 3-6 mesi.

 

 

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