Emofilia A – Premessa
Le coagulopatie congenite sono un gruppo di disordini ereditari dovuti a carenza quantitativa o (meno frequentemente) qualitativa dei fattori plasmatici della coagulazione che permettono l’arresto del processo di sanguinamento.
Ciò determina l’insorgenza di manifestazioni cliniche di tipo emorragico.
Il 95% delle coagulopatie congenite è rappresentato proprio dall’emofilia A e B, con trasmissione diaginica X-linked.
Il restante 5% delle coagulopatie congenite ha invece trasmissione autosomica, non legata ai cromosomi sessuali.
Indice dei Contenuti
Emofilia A – Definizione e genetica
L’emofilia A è una malattia emorragica ereditaria a trasmissione X-linked causata dal deficit del fattore VIII della coagulazione. Tale deficit si crea a seguito di un danno/mutazione nel gene che codifica per lo stesso fattore VIII, presente sul cromosoma X maschile. Questo è il motivo per cui il quadro clinico conclamato si ha soprattutto e prevalentemente nei soggetti di sesso maschile.
L’emofilia A è stata chiamata il “male dei Re” perché questa malattia era piuttosto diffusa tra le case regnanti europee. La Regina Vittoria d’Inghilterra (1819-1901) era portatrice sana del gene della malattia. Essendo una malattia con modalità di trasmissione X-linked, sono stati soprattutto i discendenti maschi della Regina a soffrire di questa malattia: Leopoldo, uno dei figli della Regina, perse la vita per un’emorragia in seguito ad una caduta.
Il male si diffuse poi tra i reali di Russia, Prussia e Spagna, in seguito ai matrimoni dei discendenti della Regina Vittoria. Per discendenza, anche il figlio dello Zar Nicola II, Alessio Romanov, ne soffriva.
La storia della malattia fu ricostruita negli anni Settanta, quando gli studiosi portarono avanti una serie di indagini sul DNA dei discendenti della Regina per ricostruire l’albero genealogico della malattia.
Emofilia A – Epidemiologia
L’emofilia A è 4/6 volte più frequente dell’emofilia B. Si presenta con una prevalenza di 1: 10.000 individui.
Eredità genetica
Il gene che codifica per il FVIII è presente sul braccio lungo del cromosoma X.
I quadri di ereditarietà più frequenti sono:
- madre portatrice del difetto su un cromosoma X e padre sano: il 50% dei figli maschi saranno emofilici e il 50% delle figlie femmine saranno portatrici;
- madre sana e padre affetto: tutte le figlie femmine saranno portatrici e tutti i figli maschi risulteranno sani.
Le femmine portatrici presentano di solito un quadro clinico asintomatico o lievemente sintomatico rispetto alle manifestazioni del maschio affetto.
Emofilia A – Patogenesi
Il FVIII presiede, insieme agli altri fattori della coagulazione, all’attivazione del fattore X in fattore X attivato, il quale a sua volta media la conversione del FII della coagulazione, la protrombina, in trombina attivata. E’ proprio quest’ultimo elemento a favorire la formazione dello stato coagulativo, mediando la conversione del fibrinogeno in fibrina solubile. La fibrina sarà poi stabilizzata dal FXIII della coagulazione costituendo così un coagulo di fibrina stabilizzato.
Nell’emofilia A, il deficit del fattore VIII determina un’insufficiente generazione di FX attivato. Questo porta all’insufficiente produzione di trombina attivata al fine di innescare i meccanismi che portano alla formazione di fibrina stabilizzata.
Emofilia A – Clinica
L’emofilia A ha diversa gravità a seconda del deficit del FVIII:
- forma grave o severa: il fattore VIII è presente per meno dell’1% (nel 30-40% dei casi). Questa forma grave determina manifestazioni cliniche già nel primo anno di vita; si creano evidenti emorragie spontanee articolari, nei tessuti molli e negli organi parenchimali.
- forma moderata: il fattore VIII è presente fra l’1 e il 5% (nel 10-15% dei casi). Le emorragie spontanee si verificano meno frequentemente che nella forma grave e anche l’emartro è di riscontro meno comune.
- forma lieve: il fattore VIII è presente fra il 5 e il 20% (nel 45-55% dei casi). In questa forma le emorragie spontanee sono assenti, e gli eventi emorragici sono solo conseguenti ad eventi traumatici.
L’emartro
L’emartro è il segno classico dell’emofilia A (si presenta nel 50-70% dei casi totali).
I primi emartri cominciano a presentarsi nei bambini con il gattonamento, i primi tentativi di camminare e di stare in posizione eretta.
Spontaneamente, o a seguito di piccoli eventi traumatici, si crea un sanguinamento dal plesso venoso subsinoviale, sotto la capsula articolare. Nella cavità articolare si crea un accumulo di sangue, anche 100 ml: questa raccolta ematica provoca la distensione della capsula articolare e ciò determina dolore.
Il sangue accumulatosi è elemento estraneo alla cavità articolare, perciò la sua presenza all’interno della stessa induce una reazione infiammatoria locale; l’infiammazione locale che si instaura fa sì che la sinovia perda la capacità di continuare a produrre il liquido sinoviale e di nutrire la cartilagine articolare e l’osso subcondrale.
Con il permanere di questi stessi stimoli si crea la degenerazione della cartilagine e dell’osso subcondrale, elementi che portano a creare un quadro locale di artrosi, con deficit di movimento della stessa articolazione.
Il quadro di artrosi dell’articolazione porta con il tempo anche ad una progressiva ipotrofia dei muscoli legati alla stessa articolazione e ulteriore instabilità articolare.
Potremmo quindi riassumere le fasi evolutive di un emartro persistente o recidivante nel tempo in questo modo:
emartro acuto >>> infiammazione persistente>>> infiammazione cronica>>> artrosi>>> ipotrofia muscolare
Le sedi articolari che più frequentemente sono interessate da questo processo sono:
- ginocchio (30%)
- articolazione tibio-tarsica (30%)
- gomito (30%)
- polso (30%)
- spalla (3%)
- anca (4%)
Nelle forme emofiliche più gravi si creano più emartri spontanei a settimana, nelle forme intermedie: 3-5 episodi di emartro spontaneo o lievemente traumatico all’anno; nelle forme lievi l’emartro è sempre traumatico e non spontaneo.
Un’altra manifestazione clinica tipica è rappresentata dagli ematomi muscolari.
Quasi mai sono degli episodi spontanei, ma di solito insorgono qualche giorno dopo un trauma.
I muscoli tendenzialmente interessati sono l’ileopsoas e i muscoli degli arti inferiori.
In corrispondenza del muscolo interessato si crea una tumefazione di consistenza dura, dolore e dolorabilità del muscolo; la cute soprastante è calda e arrossata.
Da prestare attenzione al fatto che, proprio per la posizione e il decorso dell’ileopsoas, gli ematomi di questo muscolo devono essere messi in diagnosi differenziale con una appendicopatia retrocecale.
Altre manifestazioni meno comuni
- ematomi sottocutanei con vistose ecchimosi nel 20-25% dei casi
- ematomi sublinguali e peritonsillari
- eventi emorragici conseguenti ad interventi odontoiatrici o chirurgici
- emorragia cerebrale: è evento raro che si verifica nel bambino in meno dell’1% dei casi.
Emofilia A – Diagnosi
E’ fondamentale soffermarsi sull’anamnesi familiare e sull’anamnesi personale che consente di identificare eventuali episodi emorragici pregressi o recenti nello stesso paziente.
Gli esami di laboratorio consentono di arrivare alla diagnosi di emofilia:
- c’è allungamento del tempo di tromboplastina parziale attivata (ATTP)
- il tempo di protrombina e di sanguinamento sono normali
- dosando il fattore VIII della coagulazione nel plasma il suo valore risulta significativamente diminuito o assente
- con l’eventuale sequenziamento del genoma con PCR è possibile identificare il deficit genico.
E’ anche possibile la diagnosi prenatale per questa patologia:
-la condizione emofilica del feto può essere studiata tra la nona e la dodicesima settimana di gestazione dopo biopsia dei villi coriali (componente placentare che ha gli stessi geni del prodotto del concepimento);
-con il prelievo di sangue ombelicale fetale la condizione di emofilia può essere studiata, ma più tardivamente tra la diciottesima e la ventunesima settimana di gestazione.
Emofilia A – Prognosi
Dipende fondamentalmente dal grado di severità della malattia. Di certo una delle complicanze più significative che può anche portare all’exitus è un’emorragia di importante gravità.
Emofilia A – Terapia
Consiste nella terapia sostitutiva con il fattore VIII.
In passato venivano utilizzati gli emoderivati e questo ha significativamente contribuito alla diffusione di infezioni nei pazienti riceventi. Si è valutato che oltre il 90% dei pazienti emofilici adulti è positiva per gli anticorpi contro HBV. Tra il 1980 e il 1985, inoltre, l’utilizzo degli emoderivati ha favorito la diffusione del virus HIV.
Oggi i prodotti emoderivati sono sottoposti a virus-inattivazione, ma il rischio di infezione, anche se ridotto, c’è ancora oggi perché i virus dell’epatite e il parvovirus B19 sono privi di involucro lipidico e perciò sono solo parzialmente inattivati dai procedimenti virucidi.
Per questo oggi sono preferiti i prodotti ricombinanti.
Il monitoraggio della terapia va effettuato con la misurazione dell’ATTP e con il dosaggio del FVIII.
Si stà studiando il trattamento delle forme di emofilia per la possibilità di trattarle con vettori retrovirali che possano esprimere il FVIII.
Video consigliato:
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Bibliografia
- Castoldi, Liso, Malattie del Sangue e degli Organi Ematopoietici, V edizione, Milano, McGraw-Hill
- http://www.aiceonline.it