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Diabete Mellito di tipo 2 – Definizione

Il diabete mellito di tipo 2 è una patologia metabolica ad andamento cronico, caratterizzata da costante iperglicemia plasmatica conseguente ad una condizione di insulino resistenza (carenza insulinica relativa) nella fase d’esordio, seguita da una insufficiente produzione d’insulina da parte della beta-cellula.

 

Diabete Mellito di tipo 2 – Epidemiologia

  • è la forma di diabete più frequente (> 90 % dei casi di diabete)
  • colpisce soprattutto pazienti obesi e con sindrome metabolica
  • caratteristico dell’età matura (> 40 anni); tuttavia interessa pazienti sempre più giovani a causa dell’aumento dell’incidenza dell’obesità in questa popolazione
  • aumento dell’incidenza nella popolazione pedatrica nei “Paesi ad alto tenore socio-economico”
  • in una piccola percentuale di casi può interessare pazienti normopeso

 

Diabete Mellito di tipo 2 – Eziologia e Fattori di rischio

Il diabete mellito di tipo 2 è una patologia multifattoriale:

  • Familiarità (ereditarietà multigenica): recentemente è stata dimostrata un associazione con la presenza di varianti mutate del gene TCF7L2 , in grado di determinate una riduzione della secrezione pancreatica di insulina. Inoltre, il tasso di concordanza tra gemelli monozigoti, è maggiore del 90%
  • Fattori ambientali: in particolare lo stile di vita e grado di sedentarietà infatti è classico l’esempio degli indiani Pima che, una volta “occidentalizzati”, adottando una dieta ricca di grassi animali e carboidrati, manifestavano diabete
  • Obesità e Sindrome Metabolica (presente nell’80% dei casi): queste condizioni cliniche comportano un aumento dell’insulino resistenza

 

Diabete mellito di tipo 2-Fisiopatologia e storia naturale

OBESITA’ E DIABETE: l’insulino resistenza

Diversi studi hanno messo in evidenza la relazione intercorrente tra il diabete mellito di tipo 2 e l’indice di massa corporea (BMI); dal grafico seguente possiamo vedere che, per valori di BMI maggiori di 25, la curva si innalza e per valori superiori a 30 la curava diventa sempre più ripida, ad indicare un incremento del rischio relativo di diabete.

Perchè questa associazione?

Il tessuto adiposo è organo endocrino in grado di produrre ormoni e citochine, quali il TNF-alpha, la resistina, IL-6, capaci di causare uno stato di infiammazione cronica e insulino-resistenza. Inoltre, nei soggetti affetti da obesità e sindrome metabolica, si riscontrano spesso valori diminuiti di adiponectina e uno stato di leptino resistenza. Ricordiamo che la leptina è un ormone ad attività oressizzante e inducente la sazietà mentre, l’adiponectina, è una proteina sintetizzata dall’adipocita con il compito di inibire la sintesi degli acidi grassi, stimolare la beta-ossidazione, promuovere l’azione dell’insulina più una serie di effetti benefici a livello cardiovascolare.

Questo dissesto metabolico conduce ad uno stato di insulino-resistenza che si ripercuote soprattutto a carico dei tessuti adiposo, muscolare ed epatico.

L’effetto anti-lipolitico che l’insulina esercita a livello del tessuto adiposo viene meno, con consegente aumento della produzione e della liberazione, nel torrente ematico, di acidi grassi liberi (FFA) responsabili, a loro volta, dello stato di insulino-resistenza.

Il fegato, inondato dai FFA provenienti dal circolo portale, attiva la gluconeogenesi con conseguente immissione in circolo di glucosio.

Inoltre si ha un aumento della produzione di trigliceridi e colesterolo, in particolare di LDL, che hanno un impatto negativo sul sistema cardiovascolare.

Diversi studi hanno dimostrato che la dislipidemia, unitamente all’iperlgicemia,  sono causa di un danno progressivo a carico delle beta-cellule pancreatiche (vedi in seguito).

NB: nelle forme pediatriche di insulino resistenza, più che il grasso viscerale, è il grasso sottocutaneo a giocare un ruolo fondamentale nella patogenesi della malattia.

 

Storia naturale del DM2, caratterizzato  da 2 elementi essenziali:

  • Insulino-resistenza :  consiste in una inadeguata utilizzazione del glucosio da parte delle cellule che non rispondono normalmente alla stimolazione insulinica; il difetto può localizzarsi a livello pre-recettoriale, recettoriale o post-recettoriale.
  • Difetto della beta-cellula : anche se inizialmente il difetto è relativo (carenza insulinica relativa), ovvero legata ad una produzione di insulina insufficiente a compensare la resistenza insulinica, a distanza di anni la beta cellula diminuisce progressivamente fino alla completa cessazione della produzione di insulina (carenza inulinica assoluta), come conseguenza del perpetruarsi di stimoli infiammatori e dannosi a carico della beta-cellula

 

La resistenza insulinica è prevalente rispetto al deficit di secrezione

 

Nella prima fase di compenso la beta-cellula risponde all’insulino-resistenza con l’ ipersecrezione di insulina (iperinsulinemia) sufficiente a mantenere il livello di glicemia su valori normali o leggermente elevati.

A distanza di 10-30 anni, si determina un danno pancreatico in cui il pancreas “si stanca” e la produzione di insulina diminuisce. Questa nuova e progressiva condizione, non è più in grado di assicurare un controllo ottimale dei valori ematici di glucosio con conseguente iperglicemia.

Quindi è possibile affermare che, la primissima alterazione del metabolismo glucidico, risiede nell’insulino resistenza. In seguito è possibile osservare una progressiva riduzione della produzione insulinica da parte della beta-cellula.

Probabilemente, lo stress a cui la beta-cellula è sottoposta nel corso degli anni, causa una diminuzione della sopravvivenza della stessa. Infatti, ad un esame anatomo-patologico delle insule pancreatiche, è possibile osservare una riduzione della massa beta cellulare pari al 25-50%. Studi condotti su roditori hanno messo in evidenza, come causa dell’aumento del numero di apoptosi, l’azione lesiva dell’iperglicemia e dell’iperlipidemia.

La glucotossicità legata all’iperglicemia, è in grado di indurre sostanziali modificazioni a carico della beta-cellula. Queste alterazioni consistono nell’aumento dell’espressione genica di fattori pro-apoptotici, di citochine pro-infiammatorie, dello stress ossidativo e nella riduzione della secrezione insulinica indotta dal glucosio (riduzione della sensibilità della beta-cellula al glucosio).

La lipotossicità conseguente all’ipelipidemia, potenziata dall’iperglicemia, incrementa lo stress ossidativo a livello cellulare.

 

Diminuita estrazione o maggiore produzione di glucosio?

Entrambe le componenti giocano un ruolo fondamentale nella patogenesi del diabete mellito di tipo 2. Tuttavia l’insulina è responsabile solo del 25% del controllo dell’estrazione del glucosio ematico da parte del tessuto adiposo e muscolare, agendo sull’espressione di membrana del GLUT-4. Infatti, l’uptake di glucosio da parte di questi tessuti, avviene, seppur in minor misura, anche in assenza di insulina grazie ai recettori GLUT-1.

Al contrario, l’immissione in circolo del glucosio, avviene ad opera del fegato ed è strettamente dipendente dal’insulina.

Questo vuol dire che quest’ormone controlla buona parte della produzione epatica di glucosio e della sua immissione in circolo, ma molto poco la sua scomparsa.

Quindi, il principale responsabile dell’iperglicemia, è la produzione epatica di glucosio.

 

Focus on: TECNICHE PER LA DETERMINAZIONE DELLA INSULINO-RESISTENZA

  • EUGLICEMIC GLUCOSE CLAMP: infusione continua di insulina con infusione variabile di glucosio in modo da mantenere la glicemia costante. La resistenza all’insulina è inversamente proporzionale alla quantità di glucosio necessaria a mantenere l’euglicemia
  • IVGTT + MINIMAL MODEL: iniezione endovenosa di glucosio e determinazione, in tempi  ravvicinati, di glicemia ed insulinemia. L’analisi è effettuata attraverso un modello matematico dell’effetto della glicemia sulla secrezione insulinica e dell’insulina sul metabolismo del glucosio

 

Diabete mellito di tipo 2 – Clinica

  • soggetto quasi sempre in sovrappeso od obeso (85-90% dei casi) con distribuzione del grasso di tipo androide
  • in una piccola percentuale di casi può trattarsi di un paziente normopeso
  • esordio lento e insidioso; i primi sintomi possono essere quelli delle complicanze a lungo termine (malattia micro e macro-vascolare)
  • anamnesi quasi sempre negativa per poliuria e polidipsia
  • quasi sempre glicosuria e quasi mai chetonuria
  • rarissimi gli episodi di chetoacidosi diabetica
  • dislipidemia
  • ipertensione arteriosa
  • patologie cardiovascolari (angina, infarto miocardico)
  • infezioni cutanee croniche (nelle donne può presentarsi sottoforma di vulvovaginite da Candida)
  • infezioni urinarie ricorrenti (cistiti)
  • parestesie e stanchezza
  • dolore neuropatico

 

Diabete mellito di tipo 2 – Diagnosi

Difficilmente il paziente si presenta con poliuria e polidipsia, di solito si arriva alla diagnosi indirettamente, nel caso di accertamenti per altre malattie (ad esempio malattie intercorrenti acute o complicanze delle malattie croniche).

Tuttavia, essendo maggiore la probabilità di complicanze alla prima diagnosi, è necessario un approfondimento diagnostico e non soffermarci alla sola diagnosi di diabete mellito.

 

Valutazione della funzionalità renale:

  • creatininemia (v.n. 0,6-1,5 mg/dL), azotemia (v.n. 10-50 mg/dL)
  • dosaggio della microalbuminuria (i valori di riferimento per la diagnosi di microalbuminuria sono compresi tra 20 e 200 microgrammi/minuto nel campione mini-temporizzato, 30-300 mg/die nel campione delle 24h, 20-200 mg/L nel campione estemporaneo)

 

Valutazione oftalmologica:

  • test di amsler
  • esame del fundus oculi
  • micro perimetria del fundus
  • fluoroangiografia retinica

 

Valutazione cardiologica:

  • test da sforzo
  • se il paziente accusa episodi anginosi: coronarografia

 

 Criteri diagnostici del DM2

  • 2 o più glicemie plasmatiche a digiuno uguali o superiori a 126 mg/dl (da non valutatare mediante glucometro che, al contrario, viene invece utilizzato per lo screening). Da notare che non basta una sola glicemia alterata
  • Glicemia plasmatica > 200 mg/dl dopo 2h dal test da carico di glucosio
  • glicemia random maggiore o uguale a 200 mg/dl
  • segni clinici di diabete (aumento del volume urinario, infezioni ricorrenti ecc)
Normale  Pre-diabete (IFG e IGT) Diabete
Glicemia a digiuno

<100 mg/dl

100-125 mg/dl (IFG)

≥126 mg/dl

2h dopo OGTT

<140

140-199 (IGT)

≥200

 

 

 

 

 

 

Diabete mellito di tipo 2 – Terapia

Tutti gli sforzi devono tendere a:

– riguadagnare il  peso ideale se il paziente è sovrappeso od obeso

– raggiungere un controllo ottimale dei valori glicemici

 

Terapia dietetica

  • Valutazione del peso ideale mediante BMI che deve essere compreso tra 22,5 Kg/m^2, 25 Kg/m^2
  • Valutazione del metabolismo basale mediante calorimetria indiretta e holter metabolico
  • Impostazione di un regime ipocalorico (circa < 25% del fabbisogno calorico stimato mediante calorimetria e holter metabolico) per ottenere una lenta, ma progressiva riduzione ponderale, anche solo di 1Kg al mese, purchè tale obiettivo venga perseguito fino al valore ideale
  • ottenere una riduzione di almeno il 7% del peso corporeo

Importanza della riduzione ponderale-> la riduzione ponderale induce una riduzione della resistenza insulinica, quindi, una riduzione consensuale della glicemia e della glicoemoglobina

La riduzione ponderale migliora la glicemia dell’obeso

 

Maggiore sarà il deposito di grasso viscerale e la circonferenza addominale, maggiore sarà il grado di resistenza insulinica.

  • Ogni kg di sovrappeso perduto = 12 mg/dl di riduzione glicemica
  • 1% di glicoemoglobina = 35 mg/dl di glicemia
  • – 3 kg di sovrappeso = – 1% di glicoemoglobina

 

Attività fisica

  • le linee guida raccomandano attività fisica moderata di tipo aerobico per almeno 150 min/sett
  • importante motivare il paziente al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati

 

CRITERI PER LA TERAPIA FARMACOLOGICA

  • privilegiare la terapia dietetica per raggiungimento del peso ideale, associato al raggiungimento di valori di HbA1c < 7%.
  • la persistenza di una HbA1c > 7% in un paziente rientrato nel peso normale, indicherebbe la reale necessità di iniziare la terapia farmacologica
  • talvolta la difficoltà del raggiungimento del peso ideale e la scarsa adesione alla dieta da parte del paziente, spingono il medico ad iniziare la terapia con farmaci ipoglicemizzanti orali
  • la riduzione del peso inoltre produce effetti benefici su 3 aspetti della sindrome da insulino-resistenza:
    • PA elevata
    • dislipidemie
    • ipercoagulabilità
  • valori di HbA1c inferiori a 7 sono associati a minor rischio di incombere in complicanze e minor probabilità di progressione di complicanze già presenti

la realtà attuale vede un estensivo uso dei farmaci ipoglicemizzanti orali, che vengono prescritti come primo presidio da utilizzare, fuorviando l’attenzione del paziente che  è portato a considerare la “compressa”  l’unica vera cura della sua malattia

 

Farmaci Antidiabetici orali:

 -IPOGLICEMIZZANTI ORALI:

  1. INIBITORI α-GLICOSIDASI
  2. INSULINOSENSIBILIZZANTI
  3. INSULINOSECRETORI
  4. INCRETINOMIMETICI

 -INSULINA

 

Iter terapeutico

La dieta ipocalorica e ipoglicemica si può mantenere da sola in un paziente non scompensato, cioè con glicata < 8%, per 2-3 mesi al termine dei quali si deve rivalutare l’assetto metabolico.

ES: Paziente con 10 kg di sovrappeso; glicoemoglobina = 8%; senza terapia con ipoglicemizzanti orali:

  • per giungere a 7% di HbA1c deve perdere almeno 3 kg
  • per giungere a 6% di HbA1c  deve perdere altri 3 kg
  • per non essere più diabetico a livello clinico deve perdere altri 3 kg

 

Se invece è gravemente scompensato è meglio iniziare fin da subito la terapia farmacologica:

  • Il primo step farmacologico è la metformina con un dosaggio massimo di 3 g al giorno(aumenta l’insulino-sensibilità)

Poi si rivaluta il paziente a 2-3 mesi. Se anche in questo caso il controllo non è stato ottimale:

  • secondo step, si associa un altro insulino-sensibilizzante oppure le incretine (soprattutto nel soggetto obeso) oppure un insulino-secretore (sulfanilurea o repaglinide)

Nota: Ultimamente si tende a non usare le sulfaniluree perché vengono considerate responsabili nell’accelerazione verso il processo di deficit pancreatico del paziente perché “spremono” le beta cellule che già sono in difficoltà e quindi si arriva prima al deficit insulinico assoluto.

Tra le sulfaniluree la più indicata è la repaglinide. Sebbene meno efficace, tende a stressare di meno il pancreas.

 

La terapia incretina + metformina è vincente perché in teoria : da un lato la meformina fa funzionare meglio l’insulina, dall’altra le incretine aiutano il processo di perdita di peso (migliora la secrezione insulinica, riduce la secrezione di glucagone e quindi la secrezione di glucosio da parte del fegato)

 

Controllo a 2-3 mesi; in caso di fallimento:

  1. terzo step, è possibile passare direttamente alla terapia insulinica in associazione alla metformina o lasciare la sola insulina

Schema riassuntivo delle opzioni terapeutiche nel paziente diabetico

 

Come si passa alla terapia insulinica?

  • sospensione degli antidiabetici orali e passaggio diretto alla terapia quadriniettiva
  • passaggio graduale (soluzione migliore) iniziando ad inserire l’insulina basale associata ad un insulino-sensibilizzante (metformina)

 

Schema di trattamento insulinico nel paziente diabetico: terapia quadri iniettiva

  • Insulina Lenta: Lantus (insulina glargine)à prima di coricarsi (nota: deve essere fatta sempre allo stesso orario); agisce dopo 1,5 ore e durata di circa 20 ore
  • Insuline rapide: Humalog (insulina Lispro protamina), Novorapid (insulina aspart), Apidra (insulina glulisina)à prima dei 3 pasti principali; agiscono in 15 minuti e durata dalle 2 alle 4 ore.

Perché la quadri iniettiva?

Il seguente grafico mette in risalto i livelli di glicemia in rapporto all’insulinemia

In bianco la glicemia

In giallo l’insulinemia

 

 

 

 

 

 

 

Con questa modalità di somministrazione i livelli di insulina plasmatica raggiungono valori che si avvicinano meglio ai valori fisiologici di insulinemia, con picchi in corrispondenza dei pasti principali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La parte azzurra rappresenta l’iperglicemia basale del paziente diabetico invece, le curve segnate in verde, sono le iperglicemie post prandiali.

Nota: quanto più ci abbassiamo al valore normale, tanto più sarà alto il rischio di ipoglicemie.

 

Complicanze della terapia insulinica

  • ipoglicemia, mette a rischio la vita del paziente al contrario dell’iperglicemia
  • peggioramento della retinopatia diabetica (indotta da una drastica ipoglicemia)con alto rischio di emorragia retinica
  • lipodistrofia nelle sedi d’iniezione

 

CRITICITà DEL DIGIUNO

Gli episodi ipoglicemici sono più frequenti quando si è lontani dai pasti

  • Durante la notte
  • Tra i pasti
  • Durante e dopo esercizio fisico

 

Focus on: effetto Somogy

Consiste in una iperglicemia da rimbalzo provocata da un prolungato stato di ipoglicemia responsabile dell’attivazione degli ormoni controregolatori, ACTH, cortisolo, adrenalina e glucagone. Questo fenomeno si presenta tipicamente al mattino, come conseguenza dell’ipoglicemia notturna.

 

Monitoraggio a lungo termine della glicemia

  • controllo ogni 2-3 mesi se l’emoglobina glicata è >7%
  • controllo ogni 3-6 mesi se l’emoglobina glicata è <7%
  • ogni mese se l’emoglobina glicata è >9% fino al raggiungimento del valore ideale

 

 

 

COMPLICANZE CRONICHE NEI PAZIENTI CON DIABETE MELLITO

Si dividono in:

  • micro angiopatiche
  • macro angiopatiche

 

Complicanze microangiopatiche:

  • Retinopatia diabetica
  • Nefropatia diabetica
  • Neuropatia diabetica

 

Retinopatia diabetica

Rappresenta la complicanza più frequente.

Diagnosi: esplorazione del fondo oculare con oftalmoscopio, fluoroangiografia, test di Amsler, retinografia

Follow up: ogni due anni

  • nel tipo 2 dal momento della diagnosi
  • nel tipo 1: dopo 2 anni dalla diagnosi

Nel tipo 2 subito perché la malattia può sfuggire inizialmente alla diagnosi a causa della mancanza, talvolta, di segni e sintomi. La diagnosi talvolta può arrivare appunto per la presenza di retinopatia scoperta per altri motivi (visita oculistica).

 

Retinopatia diabetica-2 forme:

  • non proliferante o backgroundà molto frequente e meno grave
  • proliferanteà meno frequente, ma più grave

 

Non proliferante

  • Microaneurismi patognomonici del diabete
  • Essudati duri, presenti anche in altre malattie

 

NB: la gravità della retinopatia non è correlabile alla qualità visiva. Possiamo avere una forte alterazione strutturale senza alterazione della macula e quindi un quadro visivo non significativamente modificato.

 

Proliferante

Non è tipica della malattia diabetica ma si può presentare anche in atre patologie. Si determina per uno stimolo anossico a cui fa seguito la proliferazione di neovasi che si presentano a ciuffo e possono portarsi verso il corpo vitreo. Questo può dare emovitro e determinare un rapida perdita della vista.

 

Incidenza

nel DM tipo 1:

  • nei primi 5 anni non si assiste alla presenza della retinopatia (tuttavia anche se la retinopatia non è presente, si consiglia il controllo ogni 2 anni al massimo)

nel DM tipo 2:

  • la retinopatia di presenta fin da subito dalla diagnosi della malattia

 

Pericolosità della retinopatia diabetica

  • Il diabete è la prima causa di cecità
  • Il 3% dei diabetici ha perso la vista
  • Controllo glicemico importante. Se inaccettabile controllo glicemico, ipertensione e dislipidemia la malattia peggiora e maggiore è il rischio di cecità.

 

Terapia

  • Controllo glicemico ottimale
  • Laserterapia
  • Controllo annuale del fundus oculi per un precoce trattamento con laser

 

 

 

Nefropatia diabetica

  • Meno frequente della retinopatia
  • Dovuta all’alterata permeabilità della membrana basale che appare ispessita e che conduce a microalbuminuria, macroalbuminuria, proteinuria.

 

Anatomia patologica

Le alterazioni salienti della patologia sono:

  • ispessimento della membrana basale
  • connettivizzazione
  • glomerulosclerosi di Kimmestiel Wilson

Queste lesioni conducono ad un danno progressivo a carico del glomerulo con iniziale microalbuminuria seguita, se il danno persiste, da macroalbuminuria.

 

Nefropatia stadio iniziale (Microalbuminurica)

  • Alterazioni della membrana basale

 

Nefropatia conclamata (Macroalbuminurica)

  • sclerosi dell’interstizio con riduzione del filtrato glomerulare
  • insufficienza renale con aumento dei valori di azotemia e creatininemia
  • dialisi (fase terminale dell’insufficienza renale cronica)

 

Microalbuminuria

  • Identifica il primo stadio, istologicamente ispessimento della membrana basale.
  • Per microalbuminuria intendiamo la microquantità di albumina nelle urine
  • Dosabili solo con metodo radioimmunologico (perché sfuggono ai normali metodi di laboratorio)
  • Range di normalità <30mg/24 ore oppure <20mg/L nel campione estemporaneo
  • si fa diagnosi di microalbuminuria per valori compresi tra 20 e 200 microgrammi/minuto nel campione mini-temporizzato, 30-300 mg/die nel campione delle 24h, 20-200 mg/L nel campione estemporaneo

 

Tuttavia la microalbuminuria può presentarsi anche extradiabete:

  • esercizio fisico intenso nelle 24h precedenti l’esame
  • febbre
  • scompenso cardiaco per stasi renale
  • ipertensione arteriosa di lunga data

 

Diagnosi

Il dosaggio aumentato della microalbuminuria deve essere rilevata in 2 test consecutivi a distanza di 3-6 mesi per confermare l’aumento e quindi la microalbuminuria.

NOTA: Le recenti linee guida ADA 2014 hanno sostituito il termine di microalbuminuria con albuminuria 30–299 mg/24 h e macroalbuminuria con albuminuria  ≥300 mg/24 h.

 

Dosaggio rapido

Risultati approssimativi, ma importanti come sceening

  • Striscia reattiva da immergere nelle urine
  • Si colora se i valori superano la soglia di normalità (fino a 20mg/dl) mentre l’intensità dle colore permette di ottenere un orientamento sulla concentrazione
  • Se è presente positività allo striscio, richiedere metodo radioimmunologico per conferma

 

Nel diabete tipo 1 non si ha mai microalbuminuria prima di 5-6 anni dalla diagnosi (inutile il dosaggio prima di 5 anni).

Nel diabete di tipo 2 è difficile diagnosticare il reale inizio del diabete quindi il dosaggio deve essere eseguito ogni anno.

 

Nefropatia diabetica conclamata

  • >200 mg/l (proteinuria al semplice esame delle urine)
  • Stadio di Kimmestiel Wilson
  • Segue una riduzione del filtrato, aumenta creatininemia e azotemia con aggravamento dell’insufficienza renale

Stadi dell’insufficienza renale cronica

 

La frequenza dell’ipertensione arteriosa nei diabetici non microalbuminurici è sovrapponibile a quella dei soggetti non diabetici.

Tuttavia il grado di compromissione renale aumenta il rischio di ipertensione, infatti:

  • il 30%. dei microalbuminurici  è iperteso
  • Il 60% dei diabetici con nefropatia diabetica conclamata (macroalbuminuria) è iperteso

 

 

Il danno a carico del rene aumenta la morbilità e la mortalità cardiovascolare

 

Terapia

ACE-inibitori efficaci anche in assenza di ipertensione arteriosa. Nello stadio di microalbuminuria il trattamento precoce porta a regressione e scomparsa della microalbuminuria stessa.

 

 

 

Neuropatia diabetica

Vengono colpiti i vasa nervorum.

 

2 forme:

  • somatica (somato-sensoriale)
  • neuro-vegetativa (simpatica e parasimpatica)

 

Segni e sintomi

disturbi sensitivi

  • riduzione sensibilità (ipo o anestesie)
  • aumento della sensibilità (parestesie, bruciori, formicolii)
  • riduzione della sensibilità vibratoria

 

disturbi motori

  • riduzione della forza muscolare degli arti inferiori con atrofia muscolare

 

Diagnosi

La tendenza è di diagnosticare qualsiasi disturbo neuroaptico come neuropatia diabetica. Ma non è sempre così.

La responsabilità del diabete è giustificabile solo se scompensato (es HbA1c >7%).

La diagnosi si basa su:

Rilievi clinici: ad esempio il riscontro della  sindrome delle gambe senza riposo, di parestesie, dolore

Elettromiografia: misura la velocità di conduzione neuronale

 

Patogenesi del piede diabetico

È duplice

  • Causa neuropatica (microvascolare)
  • Causa macrovascoare

Le due forme spesso coesistono.

 

Clinicamente si può presentare come ulcera plantare sanguinante (mal perforante). Il soggetto talvolta non avverte la lesione.

Piede di Charcot (o piede a sacco di noci). Si ha la perdita dell’arco plantare. Perché si forma? Perché c’è una neuropatia (iper o ipoestesia). Si ha la mancanza del controllo della dinamica posturale e deambulatoria con frizioni e posizioni anomale del piede.

Perché si forma? Perché c’è una neuropatia (iper o ipoestesia). Si ha la mancanza del controllo della dinamica posturale e deambulatoria con frizioni e posizioni anomale del piede.

 Piede diabetico

  • Ulcera di grado 1 di Wagner

 

 

 

 

 

  • Ulcera di grado 2 di Wagner

 

 

 

 

 

  • Ulcera di grado 3 di Wagner

 

 

 

 

 

  • Artropatia di Charcot

 

 

 

 

 

 

 

Terapia

  • Chirurgia ricostruttiva
  • Si amputa la parte in necrosi e si cerca di salvare il salvabile
  • Amputazione metatarsale e ricostruzione con lembo

Podografia: permette di evidenziare  i carichi del piede sul suolo per studiare bene i punti particolarmente fragili al fine di costrutire plantari e scarpe individualizzate

 

 

Sintomatologia della forma neuro vegetativa

  • Presente nei diabetici scompensati da lungo tempo
  • Ipotensione ortostatica
  • Gastroparesi, nausea vomito, diarrea, stipsi, sudorazione al volto e alle spalle
  • Disturbi della minzione fino alla ritenzione urinaria
  • Disfuzione erettile nell’uomo (interessa il 36% dei diabetici)

 

Focus on: Diabetes Control and Complications Trial (DCCT)

Studio prospettico randomizzato a lungo termine condotto su 1441 pazienti diabetici, ha dimostrato che la normalizzazione della glicemia è in grado di ritardare e di rallentare la progressione della microangiopatia e della neuropatia diabetica.

 

Complicanze macroangiopatiche:

  • Cardiopatia Ischemica
  • Vasculopatia cerebrale
  • Arteriopatia arti inferiori

 

Epidemiologia

  • La prevalenza della macroangiopatia nel diabetico è circa 3 volte maggiore rispetto al non diabetico
  • Il diabetico presenta un rischio triplicato di sviluppare l’arteriosclerosi delle grandi arterie

 

Fattori di rischio

  • Ipertensione arteriosa
  • diabete
  • fumo
  • ipercolesterolemia

 

DIABETE E MORTALITA’ PER CARDIOPATIA ISCHEMICA

 

Lo studio riguarda pazienti con follow-up a 7aa (Incidenza di infarto a 7 aa)

significatività
Non diabetici senza infarto 3,5%
Non diabetici con infarto 18,8%
Diabetici senza infarto 20,2%
Diabetici con infarto 45%

 

 

 

 

Al fine di ridurre il rischio cardiovascolare, può essere presa in considerazione la terapia antiaggregante con ASA in prevenzione primaria nei pazienti con fattori di rischio (storia di malattie cardiovascolari, ipertensione, fumo di sigaretta, dislipidemia, albuminuria).

  • Aspirina (75-162 mg/die)
  • Clopidogrel in caso di allergia all’aspirina (75 mg/die)

 

DIABETE & IPERTENSIONE ARTERIOSA

L’ipertensione arteriosa risulta 2-3 volte più frequente nei diabetici rispetto alla popolazione generale.

prevalenza ipertensione
Diabete di tipo 1 -senza nefropatia uguale
-con nefropatia aumentata
Diabete di tipo 2 sempre aumentata

Non c’è una grossa differenza tra popolazione generale e DM tipo 1.

Al contrario, nella popolazione con DM tipo 2, la differenza è significativa

Nel tipo I il principale obiettivo è il controllo della glicemia (è difficile che siano già presenti complicanze se preso in tempo).

Infatti le complicanze microvascolari subentrano entro 5 aa, le macrovascolari entro 7-10 aa.

 

Focus on: UKPDS (United Kingdom Prospective Diabetes Studies)

Si tratta di uno dei più grandi studi effettuati su pazienti diabetici con lo scopo di stabilire come l’intervento con misure terapeutiche, al fine di controllare i livelli di glicemia, fosse in grado di ridurre l’insorgenza e l’evoluzione delle complicanze micro e macro angiopatiche.

Ecco alcuni punti salienti dello studio:

– risultati sulla riduzione dei valori pressori sistolici di 10 mmHg

Si è cercato di capire come il controllo della PA potesse incidere sull’insorgenza di eventi avversi legati al diabete.

Conclusioni:

L’ipertensione arteriosa ha una notevole importanza nello sviluppo e sulla progressione delle complicanze legate al diabete. Lo studio ha dimostrato che la riduzione dei valori di sistolica da 154 a 144 mmHg ha avuto effetti benefici superiori se comparati alla riduzione della HbA1c da 7,9% a 7%.

Le linee guida ADA 2012 raccomando un valore pressorio sempre <130/80 e di controllarla frequentemente .

 

Modifica dello stile di vita e riduzione dei valori sistolici:

  • Riduzione dell’eccesso ponderale di 10 kg = riduzione di 5-20mmHg
  • Attività fisica : camminata a passo svelto per 30’/die = riduzione di  4-9 mmHg
  • Dieta ricca di frutta e verdura e povera di lipidi = meno 8-14 mmHg
  • Riduzione dell’assunzione di sale (NaCl) <6 gr = 2-8 mmHg

 

Per valori di pressione arteriosa sistolica >140 mmHg o >90 mmHg di diastolica, si può prendere in considerazione la terapia antipertensiva se la modificazione dello stile di vita non è stata in grado di assicurare un buon controllo della pressione arteriosa.

I farmaci da considerare in prima istanza sono:

  • Ace-Inibitori
  • Sartani
  • Ace-inibitori o Sartani + diuretici

 

DISLIPIDEMIA E DIABETE MELLITO

Il diabete è caratterizzato  da una elevata prevalenza di dislipidemie, intese come:

  •  aumento del colesterolo totale ed LDL
  •  riduzione del colesterolo HDL
  •  aumento dei trigliceridi

 

Le dislipidemie, oltre a riconoscere una genesi genetica, sono fortemente correlate a fattori dietetici

 

Ipercolesterolemia e cardiopatia ischemica

  • La relazione è NETTA, il rischio aumenta con l’aumentare della colesterolemia
    • A colesterolemie di 200 mg %, la riduzione del’1% (2 mg %), riduce il rischio di mortalità per cardiopatia  ischemica del 2% mentre, per colesterolemie di 300 mg % la riduzione dell’1% (3 mg %) riduce il rischio del 4%
    • Non esiste un livello di colesterolemia al di sotto del quale il rischio non si riduce ulteriormente

 

Colesterolo HDL e cardiopatia ischemica Colesterolo HDL = fattore protettivo

  • Rappresenta la parte minore della colesterolemia totale
  • Relazione inversa con il rischio
  • Fattori di rischio indipendente se < 35 mg % (agisce indipendentemente dal valore di LDL-colesterolo)

 

TRATTAMENTO DELL’IPERCOLESTEROLEMIA

Due tipi di intervento sequenziali

  • Trattamento dietetico
  • Trattamento farmacologico

Tutte le linee-guida sono concordi nel raccomandare il trattamento dietetico.

 

Trattamento farmacologico:

  • statine (atorvastatina, rosuvastatina, simvastatina) effetti collaterali: rabdomiolisi, insufficienza epatica
  • fibrati: efficaci soprattutto sul pool di trigliceridi
  • ezetimibe
  • steroli vegetali
  • colestiramina (resine a scambi ionico): diminuisce l’assorbimento degli acidi biliari a livello dell’ileo

In caso di ipercolesterolemia + ipertrigliceridemia: associazione di fibrati + statine (atorvastatina, rosuvastatina) o statine + ezetimibe

 

L’obiettivo è il raggiungimento di valori di LDL <100 mg/dL in assenza di patologie cardiovascoli, <70 mg/dL nei pazienti con patologie cardiovascolari.

 

Fonti e approfondimenti

  1. Standards of Medical Care in Diabetes 2014. American Diabetes Association. doi: 10.2337/dc14-S014Diabetes Care January 2014 vol. 37 no. Supplement 1 S14-S80
  2. Galletti F, Barbato A, Versiero M, Iacone R, Russo O, Barba G et al.  “Circulating leptin levels predict the development of metabolic syndrome in middle-aged men: an 8 year follow-up study.” J Hypert 2007; 25:1671–1677
  3. Weyer C, Funahashi T, Tanaka S, Hotta K, Matsuzawa Y, Pratley RE et al. “Hypoadiponectinemia in obesity and type 2 diabetes: close association with insulin resistance and hyperinsulinemia.” J Clin Endocrinol Metab 2001; 86:1930–193528.
  4. Miriam Cnop et Al. “Mechanisms of Pancreatic β-Cell Death in Type 1 and Type 2 Diabetes Many Differences, Few Similarities” 10.2337/diabetes.54.suppl_2.S97Diabetes December 2005 vol. 54 no. suppl 2 S97-S107
  5. Standards of medical care in diabetes. VI. Prevention and management of diabetes complications. Agency for Healthcare Research and Quality. Sito internet: http://guideline.gov
  6. American Diabetes Association. Standards of medical care in diabetes – 2011. Diabetes Care 2011;34(suppl 1):S11-12. Available online at: http://care.diabetesjournals.org/content/34/Supplement_1
  7. A. Hussain, M.Z.I. Hydrie , B. Claussen, S. Asghar. “Type 2 Diabetes and obesity: A review”.  Journal of Diabetology, June 2010; 2:1
  8. “Definition, Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus and its Complications”. Report of a WHO Consultation
  9. ADA guidelines. “Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus”. DIABETES CARE, VOLUME 35, SUPPLEMENT 1, JANUARY 2012
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